Sulla base di queste indicazioni, vediamo ora cosa significa e com’è regolamentato dalle norme il termine “artigianale” che spesso compare scritto sull’etichetta di alcuni prodotti alimentari. La circolare del Ministero delle Attività Produttive n. 168 del 10 novembre 2003, alla lettera F) così si pronuncia: “Prodotti artigianali. Nella commercializzazione di taluni prodotti artigianali, quali le paste alimentari di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 187/2001, talvolta viene fatto con una certa enfasi riferimento alla “produzione artigianale”, come se si trattasse di una garanzia di qualità organolettica, nutritiva o sanitaria superiore. L’uso di diciture quali “lavorato a mano” e simili è ingannevole quando soltanto alcune fasi secondarie e collaterali della produzione sono effettuate a mano. Nel comparto delle paste alimentari, ad esempio, le diciture “lavorato a mano” e simili potranno essere apposte unicamente qualora le fasi di impasto, trafilatura, taglio ed essiccazione della pasta siano state effettuate in tutto o per la maggior parte a mano e non anche quando la manualità abbia riguardato unicamente fasi secondarie come lo svuotamento dei sacchi di semola, il riempimento delle tramogge, il dosaggio degli ingredienti o il confezionamento. [...] È vero che l’uso di diciture concernenti le caratteristiche del metodo di produzione costituisce una garanzia fornita al consumatore sul metodo, ma non si traduce, di regola, anche in un aumento della qualità del prodotto finito in termini di caratteristiche ingredientistiche, nutrizionali, chimico- fisiche, organolettiche ed igienico-sanitarie. Delle metodologie artigianali viene fornito un elenco, non esaustivo ma di rilievo, nella pronuncia n.8884 del 9 novembre 2000 dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che si può così riassumere: la presenza di una struttura organizzativa tipicamente artigianale e/o familiare è caratterizzata dal basso numero di addetti e soprattutto dall’incidenza dell’apporto umano e personale nella produzione. Questo aspetto concerne, ovviamente ed unicamente, le caratteristiche dell’azienda. Pertanto non può in alcun modo essere utilizzato per presentare i prodotti come superiori nella qualità. L’azienda artigianale non può cioè trasformare la sua qualifica giuridica in un elemento di qualità dei prodotti finiti. In tale contesto non si può non tener conto anche di quanto previsto dal decreto legislativo n. 74/1992 che, anche se di portata generale, vieta ogni forma di pubblicità subliminale e subordina l’uso dei termini “garantito e garanzia” e simili, quali “selezionato e scelto”, alla precisazione in etichetta del contenuto e delle modalità della garanzia offerta.”
Da ciò si può concludere che, solitamente, viene considerato artigianale il prodotto che viene realizzato in quantitativi limitati e con metodi manuali. Non essendovi però alcuna normativa che consenta di identificare con certezza ciò che è artigianale e ciò che non lo è, i contorni della definizione sono labili ed è certo azzardato da parte dei produttori inserirlo in etichetta, rischiando di ingenerare nel consumatore convinzioni errate sulla natura del prodotto venduto.
Un altro esempio, oltre alla pasta ed ai gelati, di utilizzo del termine “artigianale” in etichetta, è dato dalla birra. Utilizzare questo aggettivo in relazione con “birra” può essere considerato fraudolento in Italia, perché nel nostro paese questa categoria di prodotto non esiste, non essendo prevista dalla legge. Recenti sono i casi di sequestro di bottiglie di birra con etichette recanti la dicitura “artigianale” in alcuni supermercati italiani. I consumatori che si trovano di fronte ad un prodotto indicato come artigianale dal produttore, o anche solo dalla grande distribuzione, devono quindi avere ben presente che si tratta di un termine con confini piuttosto labili, dietro il quale può ragionevolmente presumersi un metodo di produzione manuale, ma che non costituisce certo garanzia di qualità ed è spesso usato a sproposito.