Ciò che è emerso è che la flessione del prezzo della terra si è accentuata nel corso del 2014, con una lieve diminuzione del -0,6%.
Secondo gli esperti, la flessione generalizzata dei valori fondiari – che ormai non risparmia neanche le aree rurali più ricche e dinamiche – è un segnale delle difficoltà in cui si sta dibattendo il mercato fondiario, che non riesce più a generare interesse negli investitori e non trova sufficiente spinta negli imprenditori più dinamici.
Un altro dato emerso è quello del valore medio nazionale della terra, che si mantiene intorno ai 20.000 euro ad ettaro con punte decisamente più elevate nelle aree di pianura e nelle zone collinari particolarmente vocate per colture di pregio.
Molto più bassi risultano i valori fondiari nelle aree montane e nelle aree relativamente più marginali delle regioni meridionali.
Anche nel 2014 il divario nei valori tra aree ricche e marginali sembra attenuarsi, dato che i prezzi scendono in misura più consistente proprio nelle aree più fertili, segno di un aggiustamento dei valori che si attendeva da tempo.
Nove regioni, in prevalenza situate nel Nord Italia hanno presentato una variazione negativa dei valori, piuttosto rilevante in Friuli-Venezia Giulia, Veneto e Lombardia.
Secondo gli operatori del settore i fattori che hanno determinato questa flessione rimangono legati alla crisi di liquidità che ha investito le famiglie e anche le imprese.
Le famiglie, che secondo una recente stima dell’Istat detengono l’88% del patrimonio fondiario, sembrano sempre meno interessate a conservare questa forma di capitale anche a fronte di una tassazione (IMU) sempre più pesante.
Aumenta, di conseguenza, la disponibilità a vendere il terreno dopo il primo passo rappresentato dalla chiusura dell’attività diretto coltivatrice e dall’affidamento dei terreni in affitto.
Non mancano zone dove ormai l’offerta è superiore alla domanda e pur di raggiungere un accordo ci si accontenta di prezzi più bassi.
D’altra parte anche gli imprenditori agricoli più dinamici, probabilmente più orientati a indirizzare i propri investimenti verso un miglioramento dell’efficienza aziendale, cercano di aumentare la dimensione dell’impresa attraverso indirizzi produttivi più intensivi, una diversificazione delle attività o anche attraverso l’acquisizione dei terreni, ma in affitto.
Infatti, come segnalato nella nota sul mercato degli affitti, la superficie in affitto secondo l’Istat continua ad aumentare.
Giocano a sfavore anche eventi congiunturali come le misure di embargo verso la Russia che hanno avuto effetti piuttosto rilevati per i produttori ortofrutticoli o la crisi del settore lattiero e delle carni bovine che mette in discussione uno dei fattori determinanti la domanda di terra negli ultimi decenni.
L’accesso al credito continua ad essere un punto dolente per molti imprenditori, malgrado la riduzione dei tassi offra ormai buone occasioni per l’investimento e la Banca d’Italia segnali un incremento delle erogazioni per finanziamenti per l’acquisto di immobili rurali.
L’evoluzione delle politiche agricole non aiuta a migliorare la situazione.
Infatti, il lento avvio della riforma della politica agricola comune riserva ancora numerose incognite, sia per quanto riguarda il futuro assetto dei pagamenti diretti – che dovrebbero diminuire nelle aree più fertili e aumentare in misura abbastanza sensibile nelle zone più marginali -, sia per il ritardo accumulato dai nuovi piani di sviluppo rurale che nel passato erano considerati un fattore decisivo per attivare nuovi investimenti fondiari.
Le aspettative per il futuro non sembrano essere improntate all’ottimismo. Molti operatori segnalano probabili ulteriori riduzioni delle quotazioni, con l’eccezione di terreni locati in zone di pregio come quelle viticole che sembrano attirare ancora l’interesse anche di investitori extragricoli. Tra le note positive va segnalato che malgrado gli operatori continuino ad avvertire una sostanziale stagnazione del mercato, l’Istat evidenzia un lieve aumento per quanto riguarda l’attività di compravendita nel 2013, dopo anni di pesanti flessioni.
Si dovranno attendere i dati del 2014 per capire se si tratta di un’inversione di tendenza consolidata.
Per il 2014 si conferma un maggiore dinamismo del mercato degli affitti nelle regioni settentrionali, dove la domanda è nettamente superiore all’offerta, in particolare per terreni da dedicare a colture di pregio e a destinazione energetica.
I canoni si registrano tendenzialmente in rialzo nel Nord-ovest, mentre l’andamento è più cauto nelle zone orientali dove in alcuni casi i canoni sono in flessione. Per quanto riguarda le nuove contrattazioni, alcuni operatori hanno segnalato possibili effetti della pressione fiscale sulla proprietà fondiaria, che hanno spinto al rialzo i canoni dopo l’introduzione dell’IMU sui terreni agricoli.
Situazione pressoché stazionaria nelle regioni centrali, con mercato in equilibrio e canoni per lo più stabili, anche se nelle zone più marginali sono registrati in calo. Anche in queste regioni sono stati segnalati effetti legati alla pressione fiscale.
Nel Mezzogiorno si segnala un timido rialzo della domanda che in qualche caso tende a prevalere sull’offerta.
Ciò probabilmente anche per effetto delle misure dei PSR i cui parametri di accesso incentivano ad incrementare la superficie aziendale spingendo pertanto la domanda di terreni in affitto.
Da considerare anche il rilevante aumento della regolarizzazione dei contratti con la parallela diminuzione degli accordi verbali, mentre il livello dei canoni mostra una tendenza al ribasso, soprattutto per le zone più marginali.
Per quanto riguarda le Isole, aumentano i canoni nelle aree costiere della Sicilia settentrionale dedicate alla coltivazione di ortaggi, mentre rimangono stabili o in flessione altrove.
Continua a crescere l’affitto, a conferma di quanto già evidenziato dall’ultimo Censimento.
Tra il 2010 e il 2013 l’Istat rileva un incremento della SAU condotta in affitto (+7%), che raggiunge i 5,2 milioni di ettari, di cui circa 1 milione condotti in uso gratuito.
La struttura fondiaria sta diventando sempre più flessibile se si considera che il 42% della SAU nazionale è condotta in affitto.
L’istituto dell’affitto rimane uno dei principali strumenti di modernizzazione da parte degli imprenditori agricoli, che in questo modo possono aumentare le proprie superfici aziendali.
Se ne avvantaggiano soprattutto le aziende miste in proprietà e affitto che sopravanzano le aziende solo in proprietà, sia in termini assoluti (5,8 milioni di ettari) che di valore medio aziendale (18 ha). Il trend positivo della diffusione dell’affitto riguarda in particolare le regioni meridionali (+8%) seguite da quelle settentrionali (+6,5%) e centrali (+5%), sebbene la quota complessiva di SAU condotta in affitto sia ancora significativamente concentrata nel Nord Italia.
Le aspettative per il futuro sono legate principalmente alla nuova PAC e in particolare all’attivazione nelle varie regioni dei Piani di Sviluppo Rurale.
Si attende, infatti, un ulteriore aumento del ricorso all’affitto legato alle nuove misure riguardanti l’insediamento dei giovani in agricoltura.
Infine, vanno segnalati i recenti tentativi di istituire la cosiddetta “Banca della terra” da parte di diverse amministrazioni regionali, con lo scopo di incentivare l’affidamento di terreni incolti pubblici e privati a giovani agricoltori prevalentemente mediante l’affitto.
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