"Tutti i vini che prendono il nome dal vitigno - come Lambrusco, Vermentino, in parte anche il Sangiovese - rischiano di essere tolti dalla lista dei vini protetti nell'Ue in quanto la Commissione europea vorrebbe sostanzialmente liberalizzarli".
Queste sono le affermazioni che l’ANSA attribuisce a Paolo De Castro, coordinatore per il Gruppo Socialisti e Democratici della commissione Agricoltura e sviluppo rurale del Parlamento europeo.
La produzione vitivinicola italiana vede spesso una stretta connessione fra l’origine territoriale di un vino e il vitigno autoctono che lo caratterizza.
A differenza che in altri paesi in Italia siamo infatti spesso abituati a pensare che sia possibile associare ad una zona di produzione un vitigno tipico, non esportabile altrove.
Ma non sempre è così e se ne sono accorti i produttori di prosecco, che recentemente hanno dovuto abbandonare il nome del vitigno, per evitare che altri produttori altrove ne replicassero (legittimamente) il nome semplicemente esportando la tipica varietà di vite, per associare il termine prosecco all’omonima frazione di Trieste, cambiando quindi il nome della varietà di vite in glera.
Questa politica di associazione fra il vitigno e la zona di produzione viene da lontano ed è stata inizialmente avallata e sostenuta dal legislatore italiano, che nel DPR 12 luglio 1963, n. 930 affermava all’art. 1 art.1 che: “Per denominazioni di origine dei vini s'intendono i nomi geografici e le qualificazioni geografiche delle corrispondenti zone di produzione -accompagnati o non con nomi di vitigni o altre indicazioni - usati per designare i vini che ne sono originari e le cui caratteristiche dipendono essenzialmente dai vitigni e dalle condizioni naturali di ambiente”.
In buona sostanza nel 1963 il legislatore italiano quasi confondeva il nome del vitigno con la denominazione di origine.
Questa strada non è però stata completamente condivisa dall’Unione Europea, che ha preso una strada parzialmente diversa, tutelando l’origine geografica dei prodotti e slegandosi, almeno in parte, dal vitigno (elemento che potrebbe essere suscettibile di replicazione).
Diamo uno sguardo alla normativa comunitaria.
Il Reg. CE 1308/2013, punto di arrivo in tema di OCM unico, contiene alcune importanti disposizioni in tema di varietà di uve da vino.
La direzione in cui sta cercando di muoversi l’Unione Eurpoea è chiarita dalla Premessa n. (92) del Regolamento, dove si dispone: “Nell'Unione il concetto di vino di qualità si fonda, tra l'altro, sulle specifiche caratteristiche attribuibili all'origine geografica del vino. I consumatori possono individuare tali vini grazie alle denominazioni di origine protette e alle indicazioni geografiche protette.”
La qualità protetta è quindi connessa al territorio e non al vitigno.
Alla Premessa n. (98) il Regolamento prosegue prendendo in espressa considerazione i vitigni e accordandone la protezione, ma esplicitando che la Commissione potrà prevedere delle eccezioni a tale regola: “Per tener conto delle pratiche esistenti in materia di etichettatura, è opportuno delegare alla Commissione il potere di adottare determinati atti allo scopo di autorizzare l'uso del nome di una varietà di uva da vino che contiene o è costituito da una denominazione di origine protetta o da un'indicazione geografica protetta.”
Queste premesse sfociano nell’art. 100 del Regolamento 1308/2013, che così dispone:
“Il nome di una varietà di uva da vino, se contiene o è costituito da una denominazione di origine protetta o da un'indicazione geografica protetta, non può essere utilizzato nell'etichettatura dei prodotti agricoli.
Per tener conto delle pratiche esistenti in materia di etichettatura, alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all'articolo 227 intesi a stabilire le eccezioni a tale regola.”
L’Unione Europea abilita quindi la Commissione a prendere provvedimenti che legittimino l’utilizzo in etichetta di un nome di un vitigno che compone una denominazione di origine da parte di soggetti che non producono nella zona di origine tutelata.
Il ragionamento comunitario è il seguente: non si può impedire ad un soggetto che impiega un vitigno il cui nome è contenuto in una denominazione, di informare, secondo un principio di verità, il consumatore in merito al vitigno che questi impiega.
Sebbene questa normativa sia attuabile, non sono stati ad oggi presi provvedimenti da parte della Commissione in merito.
Quello di cui parla De Castro è quindi, verosimilmente, il presumibile contenuto di una proposta in seno alla Commissione Europea, che per ora non è ancora sfociata in alcun provvedimento.
Sebbene quindi ad oggi le denominazioni che contengono il nome di un vitigno non abbiano (ancora) nulla da temere, è possibile che in un prossimo futuro le stesse vedano ridotta la propria protezione ma, per ora, si tratta solo di eccezioni che potranno riguardare solamente vitigni che tanto autoctoni non erano fin dalla loro origine, la cui coltivazione è replicabile con successo in altri luoghi.
Articolo a cura dell'Avv. Riccardo Berti