Il decreto dispone un quadro sanzionatorio di riferimento unico per la violazione delle norme sulla fornitura di informazioni sugli alimenti ai consumatori e consentire un’applicazione uniforme delle sanzioni a livello nazionale.
Analizziamo il contenuto del testo normativo.
TITOLO I (Artt. 1 e 2)
L'articolo 1 del provvedimento in esame definisce il campo di applicazione del decreto.
L'articolo 2 reca le definizioni. Esso prevede che, ai fini dell'applicazione del presente schema di decreto, si applichino le definizioni di cui all'articolo 2 del regolamento (UE) n. 1169/2011 (di seguito "regolamento").
L'art. 2 del regolamento reca una serie estesa di definizioni in materia di informazioni sugli alimenti ai consumatori, tra le quali quelle di alimento, legislazione alimentare, impresa alimentare, operatore del settore alimentare,commercio al dettaglio, consumatore finale, rinviando al regolamento (CE) n. 178/2002 per tali definizioni.
Vengono inoltre rese le definizioni - tra le altre - di carne, di informazioni sugli alimenti, di alimento preimballato, di ingrediente, di etichetta e così via.
Il medesimo articolo definisce come "soggetto responsabile" (delle violazioni del presente provvedimento) l'operatore del settore alimentare di cui all'articolo 8, paragrafo 1, del regolamento:
il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell'Unione, l'importatore avente sede nel territorio dell'Unione;
l'operatore del settore alimentare il cui nome o la cui ragione sociale siano riportati in un marchio depositato o registrato (il riferimento non è immediatamente ricollegabile alla definizione recata dal reg.
1169/2011).
Il regolamento, dunque, opera una distinzione tra il predetto "operatore del settore alimentare", che l'art. 3, n. 3 del richiamato regolamento (CE) n. 178 del 2002 qualifica come "la persona fisica o giuridica responsabile di garantire il rispetto delle disposizioni della legislazione alimentare nell'impresa alimentare posta sotto il suo controllo" e operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni" mentre l'art. 8, par. I, del reg. 116972011;
si riferisce all'operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti, definito quale l'operatore con il cui nome o con la cui ragione sociale è commercializzato il prodotto o, se tale operatore non è stabilito nell'Unione, l'importatore nel mercato dell'Unione.
Le responsabilità dell'operatore del settore alimentare responsabile delle informazioni sugli alimenti sono definite al paragrafo 2 del medesimo art. 8 del regolamento, che prevede che egli assicuri la presenza e l'esattezza delle informazioni sugli alimenti.
Inoltre, il paragrafo 3 dell'art.8 del regolamento introduce obblighi specifici in capo ad "operatori del settore alimentare" [OSA] diversi dal soggetto responsabile di cui al paragrafo l, i quali non devono fornire alimenti di cui conoscano o presumano la non conformità alla normativa in materia di informazioni applicabili, essendo responsabili delle eventuali modifiche da essi apportate alle informazioni sugli alimenti che accompagnano il prodotto.
TITOLO II (Artt. 3-16)
Il Titolo II dello schema (articoli da 3 a 16) delinea per la violazione delle disposizioni del Regolamento n.1169/2011/UE soltanto illeciti amministrativi e sanzioni di natura amministrativa pecuniaria, essendo il presidio penale – che viene mantenuto con la previsione della clausola "salvo che il fatto costituisca reato" - assicurato, come riporta la relazione illustrativa - dagli articoli 515 e 517 del codice penale.
L'art. 515 c.p. (Frode nell'esercizio del commercio) sanziona con la reclusione fino a due anni o con la multa fino a euro 2.065 chiunque, nell'esercizio di un'attività commerciale, ovvero in uno spaccio aperto al pubblico, consegna all'acquirente una cosa mobile per un'altra, ovvero una cosa mobile, per origine, provenienza, qualità o quantità, diversa da quella dichiarata o pattuita.
L'art. 517 c.p. (Vendita di prodotti industriali con segni mendaci) sanziona con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a 20.000 euro chiunque pone in vendita o mette altrimenti in circolazione opere dell'ingegno o prodotti industriali, con nomi, marchi o segni distintivi nazionali o esteri, atti a indurre in inganno il compratore sull'origine, provenienza o qualità dell'opera o del prodotto.
Si rileva, peraltro, che anche la fattispecie di reato di cui all'art. 517-quater c.p., che punisce con la reclusione fino a due anni e con la multa fino a euro 20.000 la contraffazione di indicazioni geografiche o denominazioni di origine dei prodotti agroalimentari, appare tutelare penalmente la violazione di obblighi informativi relativi ai prodotti alimentari.
L'entità delle sanzioni è fissata in una somma compresa tra 500 e 40.000 euro, conformemente alla norma di delega (art. 32, L. 234/2012) che ha previsto limiti edittali minimi e massimi di 150 e 150.000 euro.
Nell'ambito di tale forbice edittale e in ragione della gravità della violazione, sono stati individuati cinque scaglioni sanzionatori di importo diverso:
da 500 a 4.000 euro;
da 1.000 a 8.000 euro;
da 2.000 a 16.000 euro;
da 3.000 a 24.000 euro;
da 5.000 a 40.000 euro.
Nell'Analisi di impatto della regolamentazione (A.I.R.) si afferma che la scelta dei cinque scaglioni è stata effettuata dopo aver comparato le diverse fattispecie in ordine di gravità (lieve, bassa, media, alta e grave). Per ciascuno di tali scaglioni sono stati individuati i limiti edittali minimi e massimi e, nel rispetto del moltiplicatore massimo di 10, previsto dall'art. 10 della legge n. 689 del 1981 è stato disposto un moltiplicatore non superiore a 8 fra la sanzione minima e la massima.
TITOLO III (Artt. 17-24)
Gli articoli 17-20 del provvedimento in esame riportano, aggiornandole in minima parte, alcune disposizioni già contenute nel decreto legislativo n.109/1992, relative, in particolare, alle indicazioni che debbono figurare nel lotto o partita di derrata alimentare (art. 17), in caso di vendita di prodotti ai distributori automatici (art. 18), in caso di vendita di prodotti non preimballati (art. 19) e, infine, in caso di prodotti non destinati al consumatore finale (art. 20).
Gli articoli 21-24 introducono illeciti amministrativi per la violazione delle disposizioni nazionali di cui agli articoli precedenti.
Più in particolare, l'articolo 17 ripropone, aggiornate, le disposizioni contenute nell'articolo 13 del D.Lgs. n. 109/1992 in materia di lotto (articolo che, contestualmente, insieme alle altre disposizioni del predetto decreto legislativo, viene abrogato dall'art. 30 del presente provvedimento, pur prevedendosi che il richiamo - tra gli altri - al suddetto art. 13, contenuto in altre disposizioni normative, debba intendersi riferito al presente art. 17).
L'aggiornamento riguarda in particolare il riferimento corretto ai prodotti "preimballati" anziché ai prodotti "preconfezionati" per rendere omogenea al regolamento (UE) n. 1169/2011 la terminologia impiegata.
La disciplina del lotto risulta disciplinata dalla direttiva 2011/91/UE relativa alle diciture o marche che consentono di identificare la partita alla quale appartiene una derrata alimentare.
Nello specifico, l'art. 17, al comma 1, prevede le indicazioni che consentono di identificare il lotto o la partita alla quale appartiene una derrata alimentare.
Per lotto o partita si intende un insieme di unità di vendita di una derrata alimentare, prodotte, fabbricate o confezionate in circostanze sostanzialmente identiche (comma 2).
I prodotti alimentari non possono essere posti in vendita qualora non riportino l'indicazione del lotto di appartenenza (comma 3).
Il lotto è determinato dal produttore o dal confezionatore del prodotto alimentare o dal primo venditore stabilito nell'Unione europea ed è apposto sotto la propria responsabilità; esso figura in ogni caso in modo da essere facilmente visibile, chiaramente leggibile ed indelebile ed è preceduto dalla lettera "L", salvo nel caso in cui sia riportato in modo da essere distinto dalle altre indicazioni di etichettatura (comma 4).
Per i prodotti alimentari preimballati l'indicazione del lotto figura sull'imballaggio preconfezionato o su un'etichetta appostavi (comma 5).
Per i prodotti alimentari non preimballati l'indicazione del lotto figura sull'imballaggio o sul recipiente o, in mancanza, sui relativi documenti commerciali di vendita (comma 6).
L'indicazione del lotto - ai sensi del comma 7 - non è richiesta:
a. quando il termine minimo di conservazione o la data di scadenza figurano con la menzione almeno del giorno e del mese;
b. per i gelati monodose, venduti tal quali, e sempre che essa figuri sull'imballaggio globale;
c. per i prodotti agricoli, all'uscita dall'azienda agricola, nei seguenti casi: l) venduti o consegnati a centri di deposito, di condizionamento o di imballaggio; 2) avviati verso organizzazioni di produttori; 3) raccolti per essere immediatamente integrati in un sistema operativo di preparazione o trasformazione;
d. per i prodotti alimentari non preimballati di cui all'articolo 44 del regolamento;
e. per le confezioni ed i recipienti il cui lato più grande abbia una superficie inferiore a 10 centimetri quadrati.
L'articolo 18 ripropone (aggiornate) le disposizioni contenute nell'articolo 15 del D.Lgs. n. 109/1992 (anch'esso contestualmente abrogato dal presente provvedimento, pur prevedendosi che il richiamo allo
stesso art. 15, contenuto in altre disposizioni normative, debba intendersi riferito al presente art. 18) sui distributori automatici (che l'attuale art. 15 del predetto decreto legislativo definisce "Distributori automatici diversi dagli impianti di spillatura).
Nello specifico, viene previsto, al comma 1, che, fatte salve le ulteriori indicazioni obbligatorie prescritte da norme nazionali e dell'Unione europea per tipi o categorie specifici di alimenti, nel caso di distribuzione di alimenti non preimballati messi in vendita tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati, devono essere riportate sui distributori e per ciascun prodotto le indicazioni di cui all'articolo 9, paragrafo l, lettere a), b) e c), del regolamento - denominazione dell'alimento, elenco degli ingredienti, elementi che provocano allergie - nonché il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e la sede dell'impresa responsabile della gestione dell'impianto.
Le indicazioni di cui sopra devono essere riportate in lingua italiana ed essere chiaramente visibili e leggibili (comma 2).
La relazione illustrativa precisa che tale aggiornamento si è reso necessario, in particolare, per fare salve le disposizioni relative alla vendita del latte crudo tramite distributori automatici, previste dal decreto del Ministero della salute 12 dicembre 2012, emanato in attuazione dell'art. 8, commi 6 e 9, del decreto-legge n.158 del 2012 (legge n. 189 del 2012), con il quale sono state introdotti, a tutela del consumatore di latte crudo o crema cruda, specifici obblighi di etichettatura e di informazione al consumatore, riguardanti, nello specifico, l'obbligo di bollitura e l'indicazione delle date di mungitura e di scadenza.
Il contenuto dell'intero articolo 15 del D.Lgs. n. 109/1992 - precisa la relazione illustrativa - resta in vigore, ai sensi dell'art. 38 del regolamento, poiché esso afferisce a materia non armonizzata dal regolamento, il quale dispone sì in materia di "vendita a distanza" (art. 14 del regolamento), ma specifica che il disposto "non si applica agli alimenti messi in vendita tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati" (paragrafo 3 del medesimo 14).
Si ricorda, al riguardo, che l'articolo 14 del reg. 1169/ 2011 prevede, più correttamente, che il paragrafo 1, lett. a) non si applica agli alimenti messi in vendita tramite distributori automatici o locali commerciali automatizzati.
La lettera a) fa riferimento alla necessità di rendere disponibili le informazioni obbligatorie sugli alimenti prima della conclusione dell'acquisto.
Non viene, invece, prevista una deroga in ordine a quanto richiesto dalla lettera b) e cioè alla necessità che tutte le indicazioni obbligatorie, e non solo alcune, siano rese disponibili al momento della consegna.
Si ricorda che il suddetto art. 38 del regolamento prevede, quanto alle materie espressamente armonizzate dallo stesso, che gli Stati membri non possano adottare né mantenere disposizioni nazionali, salvo se il diritto dell'Unione lo autorizzi.
Tali disposizioni nazionali non devono creare ostacoli alla libera circolazione delle merci, ivi compresa la discriminazione nei confronti degli alimenti provenienti da altri Stati membri (paragrafo 1). Si prevede inoltre che, fatto salvo l'articolo 39 del medesimo regolamento (concernente le disposizioni nazionali sulle indicazioni obbligatorie complementari), gli Stati membri possano adottare disposizioni nazionali concernenti materie non specificamente armonizzate dal regolamento purché non vietino, ostacolino o limitino la libera circolazione delle merci conformi allo stesso regolamento.
L'articolo 19 ripropone (aggiornate) le disposizioni contenute nell'articolo 16 del D.Lgs. n. 109/1992, relativo alla vendita dei prodotti non preimballati.
Le disposizioni nazionali riportate nell'articolo 16 del D.Lgs. n. 109/1992 restano infatti in vigore per effetto della possibilità, prevista dall'articolo 44 del regolamento, che gli Stati membri disciplinino autonomamente le informazioni relative agli alimenti non preimballati.
Rispetto al testo originario si è provveduto - in linea con il predetto articolo 44 del regolamento - ad aggiornare il testo originario ai corretti riferimenti normativi del medesimo regolamento. Al comma 1 infatti vengono richiamati i prodotti "non preimballati" (anziché i prodotti alimentari non preconfezionati, richiamati dall'art. 16 del decreto legislativo n. 109 del 1992, abrogato dal presente provedimento), ai quali si applicano le disposizioni impartite nell'articolo in commento.
Nel dettaglio, l'art. 19, al comma 1, prevede che i prodotti alimentari offerti in vendita al consumatore finale o alle collettività senza preimballaggio, i prodotti imballati sui luoghi di vendita su richiesta del consumatore, i prodotti preimballati ai fini della vendita diretta, nonché i prodotti non costituenti unità di vendita ai sensi dell'articolo 2, paragrafo 2, lettera e), del regolamento in quanto generalmente venduti previo frazionamento ancorché posti in confezione o involucro protettivo, esclusi gli alimenti di cui al comma 8 del medesimo art. 19 forniti dalle collettività, devono essere muniti di apposito cartello applicato ai recipienti che li contengono oppure di altro sistema equivalente, anche digitale, facilmente accessibile e riconoscibile, presente nei comparti in cui sono esposti.
Sono fatte salve le prescrizioni stabilite in materia dai disciplinari di produzione per i prodotti DOP e IGP.
Le fascette e le legature, anche se piombate, non sono considerate imballaggio. Al comma 2 si dispone che, fatte salve le ulteriori indicazioni obbligatorie prescritte per i prodotti non preimballati da norme nazionali e dell'Unione Europea, sul cartello devono essere riportate almeno le seguenti indicazioni, che, nel caso di fornitura diretta alle collettività, possono essere riportate su un documento commerciale, anche in modalità telematica:
la denominazione dell'alimento;
l'elenco degli ingredienti salvo i casi di esenzione disposti dal regolamento (nell'elenco ingredienti devono figurare le indicazioni delle sostanze o prodotti di cui all'Allegato II del regolamento, con le modalità e le esenzioni prescritte dall'articolo 21 del medesimo regolamento);
le modalità di conservazione per i prodotti alimentari rapidamente deperibili, ove necessario;
la data di scadenza per le paste fresche e le paste fresche con ripieno di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 febbraio 2001, n. 187;
il titolo alcolometrico volumico effettivo per le bevande con contenuto alcolico superiore a 1,2% in volume;
la percentuale di glassatura, considerata tara, per i prodotti congelati glassati;
la designazione «decongelato» di cui all'Allegato VI, punto 2 del regolamento, fatti salvi i casi di deroga previsti.
Per i prodotti della gelateria, della pasticceria, della panetteria, della pasta fresca e della gastronomia, ivi comprese le preparazioni alimentari, l'elenco degli ingredienti può essere riportato su un unico e apposito cartello tenuto ben in vista oppure, per singoli prodotti, su apposito registro o altro sistema equivalente, anche digitale, da tenere bene in vista, a disposizione dell'acquirente, in prossimità dei banchi di esposizione dei prodotti stessi purché le indicazioni relative alle sostanze o prodotti di cui all'Allegato II del regolamento siano riconducibili ai singoli alimenti posti in vendita (comma 3).
Per le bevande vendute mediante spillatura il cartello di cui al comma 1 può essere applicato direttamente sull'impianto o a fianco dello stesso (comma 4).
Si fa presente, al riguardo, che l'art. 44 del Reg. 1169/2011 fa riferimento solo agli alimenti offerti in vendita al consumatore finale o alle collettività senza preimballaggio o ai prodotti imballati sui luoghi di vendita su richiesta del consumatore o preimballati per la vendita diretta. Inoltre, al paragrafo 2, il disposto comunitario sembra lasciare liberi gli Stati membri di adottare disposizioni nazionali in ordine ai "mezzi con i quali le indicazioni o i loro elementi devono essere disponibili e, eventualmente la loro forma di espressione e presentazione" e non tanto agli elementi stessi.
L'articolo 20 ripropone (aggiornate) le disposizioni contenute nell'articolo 17 del D.Lgs. n. 109/1992, sui prodotti alimentari non destinati al consumatore (contestualmente abrogato dal presente provvedimento, prevedendosi che il richiamo allo stesso art. 17, contenuto in altre disposizioni normative, debba intendersi riferito al presente art. 20).
Il contenuto dell'articolo 17 del D.Lgs. n. 109/1992 - rileva la relazione illustrativa - resta in vigore, ai sensi del citato 38 del regolamento - poiché esso afferisce a materia non armonizzata dal regolamento. Viene aggiornato rispetto al testo originario, con riferimento alle modalità di trasmissione delle informazioni già in uso presso gli operatori, quali i documenti commerciali trasmessi in via telematica.
Nello specifico, il comma 1 dell'art. 20 prevede che, fatti salvi gli obblighi di cui all'articolo 8, paragrafo 8, del regolamento (che prevede che gli operatori del settore alimentare che forniscono ad altri operatori del settore alimentare alimenti non destinati al consumatore finale o alle collettività assicurino che a tali altri operatori del settore alimentare siano fornite sufficienti informazioni che consentano loro, se del caso, di adempiere agli obblighi di cui al paragrafo 2 del medesimo art. 8), i prodotti alimentari destinati all'industria, agli utilizzatori commerciali intermedi ed agli artigiani per i loro usi professionali ovvero per essere sottoposti ad ulteriori lavorazioni nonché i semilavorati non destinati al consumatore devono riportare le menzioni di cui all'articolo 9, paragrafo l, lettere a), c) ed e), del regolamento (la denominazione dell'alimento, qualsiasi ingrediente o coadiuvante tecnologico elencato nell'allegato II o derivato da una sostanza o un prodotto elencato in detto allegato che provochi allergie o intolleranze usato nella fabbricazione o nella preparazione di un alimento e ancora presente nel prodotto finito e, infine, la quantità netta dell'alimento), con le medesime modalità e deroghe previste per i prodotti preimballati, il nome o la ragione sociale o il marchio depositato e l'indirizzo dell'operatore alimentare, nonché l'indicazione del lotto di appartenenza quando obbligatoria.
Le indicazioni di cui sopra possono essere riportate sull'imballaggio o sul recipiente o sulla confezione o su una etichetta appostavi o sui documenti commerciali, anche in modalità telematica, purché agli stessi riferiti (comma 2).
Gli articoli da 21 a 24 dello schema introducono illeciti amministrativi per la violazione delle disposizioni nazionali di cui agli articoli precedenti (17-20).
Gli illeciti sono mutuati dalla disciplina già contenuta negli articoli 13, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 109/1992, ma l'importo delle sanzioni è aumentato.
Attualmente, infatti, l'art. 18 del d.lgs. n. 109 del 1992 sanziona le medesime condotte con il pagamento di una sanzione amministrativa pecuniaria da 600 a 3.500 euro.
La Relazione illustrativa così motiva l'aggiornamento delle sanzioni: «esse sono ormai datate e non più tali da rappresentare un deterrente per gli operatori e da spingere i medesimi ad adottare un comportamento corretto nei riguardi del consumatore».
TITOLO IV (Artt. 25-31)
Il Titolo IV dello schema di decreto legislativo (articoli da 25 a 31) reca le disposizioni finali.
In particolare, l'articolo 25 prevede la clausola di mutuo riconoscimento ovvero l'inapplicabilità della disciplina nazionale introdotta dagli articoli da 17 a 20, e delle relative sanzioni (articoli da 21 a 24), ai prodotti alimentari che siano stati legalmente fabbricati o commercializzati:
in uno Stato membro UE;
in Turchia;
in uno Stato membro dell'EFTA – Associazione europea di libero scambio (si tratta di Islanda, Liechtenstein, Norvegia e Svizzera).
La disposizione specifica che l'applicazione della clausola opera «in conformità alle disposizioni del regolamento».
Si osserva, al riguardo, che l'applicazione della clausola in esame alle disposizioni del Titolo III in quanto materie non armonizzate dal reg. 1169/2011 potrebbe dover tener conto che la normativa de qua è oggetto in tutto o in parte di regolamentazione da parte della normativa comunitaria; in particolare, in riferimento alle indicazioni relative ai lotti delle derrate alimentari, la normativa applicabile risulta essere la direttiva 2011/91/UE, espressamente richiamata nel titolo del provvedimento e non interessata dal coordinamento della normativa operato con il Reg. 1169/2011.
L'articolo 26 individua l'autorità competente all'irrogazione delle sanzioni amministrative nel Ministero delle politiche agricole - Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e repressione
frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF).
Si ricorda che l'ICQRF, istituito dalla legge n. 462 del 1986, è organo tecnico di controllo del MIPAAF con il compito di prevenire e reprimere gli illeciti nei vari settori del comparto agroalimentare per tutelare i consumatori ed i produttori nazionali e con una serie di competenze qui di seguito elencate:
sulle produzioni di qualità più rappresentative del "Made in Italy", l'Istituto intraprende misure di collaborazione con l'Agenzia delle Dogane e le Capitanerie di Porto, per migliorare l'attività di monitoraggio dei flussi d'introduzione dei prodotti agroalimentari provenienti da Paesi terzi e per evitare fraudolente commercializzazioni di alimenti falsamente dichiarati "italiani;
nel settore oleario (articolo 8, paragrafo l, del regolamento (UE) n. 29/2012), l'Istituto è l'organismo nazionale notificato alla Commissione europea incaricato del controllo dell'applicazione del predetto regolamento.
L'Istituto redige lo specifico documento di programmazione annuale nel quale vengono definiti i controlli nel settore (art. 6, comma 2, D.M. 10 novembre 2009; art. 4, comma 2, del D.M. 23 dicembre 2013), mentre sulla base dei criteri dell'analisi del rischio, così come previsti dal regolamento (CE) n. 882/2004, vengono scelti tutti gli operatori della filiera da sottoporre a controllo.
L'attribuzione della competenza per l'irrogazione alle sanzioni all'autorità statale sostituisce la competenza regionale, attualmente prevista dall'art. 18 del decreto legislativo n. 109 del 1992 e dà attuazione al principio di delega contenuto nell'art. 5, comma 3, lett. b) della legge n. 170 del 2016.
La norma di delega, infatti, ha demandato al Governo di attribuire « la competenza per l'irrogazione delle sanzioni amministrative allo Stato al fine di disporre di un quadro sanzionatorio di riferimento unico e di consentirne l'applicazione uniforme a livello nazionale, con l'individuazione, quale autorità amministrativa competente, del Dipartimento dell'Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, evitando sovrapposizioni con altre autorità, fatte salve le competenze spettanti ai sensi della normativa vigente all'Autorità garante della concorrenza e del mercato nonché quelle degli organi preposti all'accertamento delle violazioni».
Il comma 2 dell'articolo 26, in attuazione della delega, fa salve le competenze attuali dell'Autorità Antitrust nella repressione degli illeciti ai sensi del Codice del consumo (d.lgs. n. 206 del 2005) e del D.Lgs. n. 145 del 2007 sulla pubblicità ingannevole.
Nulla cambia rispetto alla disciplina vigente per quanto riguarda le autorità competenti all'accertamento delle violazioni; coloro che svolgono attività di controllo sono tenuti, in base al comma 3, agli obblighi di riservatezza sulle informazioni acquisite.
L'articolo 27, comma 1, disciplina il procedimento di irrogazione delle sanzioni amministrative rinviando, in quanto compatibili, alla disciplina della legge n. 689 del 1981.
La legge 24 novembre 1981, n. 689, Modifiche al sistema penale, è la norma fondamentale in tema di illeciti amministrativi.
Tale legge stabilisce che la sanzione amministrativa pecuniaria consiste "nel pagamento di una somma di denaro non inferiore a 6 euro e non superiore a 10.329 euro", tranne che per le sanzioni proporzionali, che non hanno limite massimo; nel determinarne l'ammontare, l'autorità amministrativa deve valutare la gravità della violazione, l'attività svolta dall'autore per eliminare o attenuarne le conseguenze, le sue condizioni economiche e la sua personalità (artt. 10 e 11).
L'applicazione della sanzione avviene secondo il seguente schema:
- accertamento, contestazione-notifica al trasgressore;
- pagamento in misura ridotta o inoltro di memoria difensiva all'autorità amministrativa;
- archiviazione o emanazione di ordinanza ingiunzione di pagamento da parte dell'autorità amministrativa;
- eventuale opposizione all'ordinanza ingiunzione davanti all'autorità giudiziaria (giudice di pace o tribunale);
- accoglimento dell'opposizione, anche parziale, o rigetto (sentenza ricorribile per cassazione);
- eventuale esecuzione forzata per la riscossione delle somme.
Dal punto di vista procedimentale, occorre innanzitutto che la sanzione sia accertata dagli organi di controllo competenti o dalla polizia giudiziaria (art. 13).
L'attività di accertamento può consistere nell'assunzione di informazioni, nell'ispezione della dimora privata, in rilievi segnaletici, fotografici e nel sequestro cautelare della cosa che è stata utilizzata per commettere l'illecito o che ne costituisce il prezzo o il profitto (come avviene in caso di guida di autoveicolo non coperto da assicurazione obbligatoria o senza documento di circolazione). In particolare, gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria, oltre che esercitare i poteri indicati, possono procedere, quando non sia possibile acquisire altrimenti gli elementi di prova, a perquisizioni in luoghi diversi dalla privata dimora, previa autorizzazione motivata del competente tribunale territoriale. È fatto salvo l'esercizio degli specifici poteri di accertamento previsti dalle leggi vigenti.
La violazione dev'essere immediatamente contestata o comunque notificata al trasgressore entro 90 giorni (art. 14); entro i successivi 60 giorni l'autore può conciliare pagando una somma ridotta pari alla terza parte del massimo previsto o pari al doppio del minimo (cd. oblazione amministrativa o pagamento in misura ridotta, art. 16).
In caso contrario, egli può, entro 30 giorni, presentare scritti difensivi all'autorità competente; quest'ultima, dopo aver esaminato i documenti e le eventuali memorie presentate, se ritiene sussistere la violazione contestata determina l'ammontare della sanzione con ordinanza motivata e ne ingiunge il pagamento (cd. ordinanza-ingiunzione, art.18).
Entro 30 giorni dalla sua notificazione l'interessato può presentare opposizione all'ordinanza ingiunzione (che, salvo eccezioni, non sospende il pagamento), inoltrando ricorso al giudice di pace (art. 22, 22-bis); fatte salve le diverse competenze stabilite da disposizioni di legge, l'opposizione si propone, invece, davanti al tribunale ratione materiae (materia di lavoro, edilizia, urbanistica ecc.) o per motivi di valore o di natura della sanzione (sanzione superiore nel massimo a 15.493 euro o applicazione di sanzione non pecuniaria, sola o congiunta a quest'ultima, fatta eccezione per violazioni previste da specifiche leggi speciali): l'esecuzione dell'ingiunzione non viene sospesa e il giudizio che con esso si instaura si può concludere o con un'ordinanza di convalida del provvedimento o con sentenza di
annullamento o modifica del provvedimento.
Il giudice ha piena facoltà sull'atto, potendo o annullarlo o modificarlo, sia per vizi di legittimità che di merito.
In caso di condizioni economiche disagiate del trasgressore, l'autorità che ha applicato la sanzione può concedere la rateazione del pagamento (art. 26)
Decorso il termine fissato dall'ordinanza ingiunzione, in assenza del pagamento, l'autorità che ha emesso il provvedimento procede alla riscossione delle somme dovute con esecuzione forzata in base alle norme previste per l'esazione delle imposte dirette (art. 27). Il termine di prescrizione delle sanzioni amministrative pecuniarie è di 5 anni dal giorno della commessa violazione (art. 28).
In deroga a questa disciplina generale, il comma 2 dell'art. 27 prevede che alle sanzioni previste dallo schema si applichino le disposizioni dell'art. 1 del decreto-legge n. 91 del 2014 circa la diffida e la
sanatoria delle violazioni e il pagamento in misura più che ridotta.
In particolare, si ricorda che in base all'art. 1, comma 3, del decreto-legge, per le violazioni alle norme in materia agroalimentare per le quali è prevista l'applicazione della sola sanzione amministrativa pecuniaria, l'organo di controllo incaricato, nel caso in cui accerta per la prima volta l'esistenza di violazioni sanabili (vale a dire errori e omissioni formali che comportano una mera operazione di regolarizzazione ovvero violazioni le cui conseguenze dannose o pericolose sono eliminabili), diffida l'interessato ad adempiere alle prescrizioni violate entro 20 giorni e ad eliminare le conseguenze dannose o pericolose dell'illecito amministrativo.
In caso di mancata ottemperanza alle prescrizioni, l'organo di controllo procede ad effettuare la contestazione ed è escluso il pagamento in misura ridotta.
In base al comma 4, nelle stesse ipotesi, di illeciti sanzionati con la sola sanzione amministrativa pecuniaria, se già consentito il pagamento in misura ridotta, la somma, determinata ai sensi dell'articolo 16, primo comma, della legge n. 689 del 1981 è ridotta del 30% se il pagamento è effettuato entro 5 giorni dalla contestazione o dalla notificazione.
Inoltre, se la violazione è commessa da microimprese, la sanzione amministrativa (negli importi minimi e massimi) è ridotta sino alla metà (comma 3).
Si ricorda che in base alla Raccomandazione della Commissione europea 2003/361/UE del 6 maggio 2003 è microimpresa un'impresa che occupa meno di 10 persone e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiori a 2 milioni di euro.
I commi 4 e 5 dell'art. 27 escludono l'applicabilità delle sanzioni previste dallo schema di decreto: alle forniture ad organizzazioni senza scopo di lucro per la cessione gratuita di alimenti agli indigenti.
L'esclusione non opera se le irregolarità riguardano la data di scadenza o la presenza di sostanze o prodotti che possono provocare allergie o intolleranze; all'immissione sul mercato di un alimento corredato da adeguata rettifica scritta delle informazioni non conformi alla nuova disciplina.
In relazione all'esclusione prevista dal comma 4, relativa alle forniture ad organizzazioni senza scopo di lucro, si valuti l'opportunità di richiamare espressamente la disciplina della recente legge n. 166 del 2016 che - all'art. 3, comma 4 - già prevede che «gli alimenti che presentano irregolarità di etichettatura che non siano riconducibili alle informazioni relative alla data di scadenza o alle sostanze o prodotti che provocano allergie e intolleranze, possono essere ceduti ai soggetti donatari»; la cessione disciplinata dal legislatore è a titolo gratuito, è relativa a eccedenze ed è finalizzata all'eliminazione degli sprechi alimentari.
L'articolo 28, reca disposizioni transitorie, disponendo che gli alimenti immessi sul mercato o etichettati prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento in difformità dello stesso possono essere commercializzati fino all'esaurimento delle scorte.
Al riguardo, appare opportuno che si indichi espressamente un termine entro il quale le scorte dei suddetti prodotti possano essere commercializzati.
L'articolo 29 reca la clausola d'invarianza finanziaria, in ossequio a quanto previsto dalla disposizione di delega (art. 5, comma 5 della legge n. 170 del 2016).
Si prevede quindi che le amministrazioni pubbliche interessate dall'attuazione delle disposizioni di cui al presente schema di decreto provvedano (agli adempimenti ivi previsti) nell'ambito delle risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica.
L'articolo 30 reca le abrogazioni espresse. Esso, al comma 1 - come anticipato - prevede intanto l'abrogazione del decreto legislativo n. 109 del 1992.
Prevede inoltre che resti "fermo quanto disposto ai sensi del decreto legislativo, in corso di approvazione definitiva, recante la disciplina dell'indicazione obbligatoria nell'etichetta della sede e dell'indirizzo dello stabilimento di produzione o, se diverso, di confezionamento, ai sensi dell'articolo 5 della legge 12 agosto 2016, n. 170".
Il riferimento è al citato atto del Governo n. 411, uno schema di decreto legislativo che reca la disciplina dell'indicazione obbligatoria nell'etichetta della sede e dell'indirizzo dello stabilimento di produzione
o, se diverso, di confezionamento dei prodotti alimentari messi in commercio.
Il predetto schema di decreto legislativo - come anticipato - risulta già approvato definitivamente dal Consiglio dei ministri il 15 settembre 2017 ed è in corso di pubblicazione.
Sempre al comma 1 dell'art. 30 si prevede - come in parte anticipato nel commento dei singoli articoli del presente provvedimento - che:
il richiamo agli articoli 13, 15, 16 e 17 del decreto legislativo n. 109 del 1992 (che vengono abrogati insieme alle altre disposizioni del decreto), contenuto in altre disposizioni normative, deve intendersi
riferito rispettivamente agli articoli 17, 18, 19 e 20 del presente schema di decreto;
per quanto concerne i richiami all'articolo 18 del decreto legislativo n. 109 del 1992 (anch'esso abrogato dal presente provvedimento e che contiene le sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni del medesimo decreto legislativo n. 109 del 1992), contenuti nelle vigenti disposizioni, essi si intendono effettuati ai corrispondenti articoli (in materia di sanzioni) del presente schema di decreto (ossia agli articoli da 3 a 16 e da 21 a 24, a seconda della fattispecie).
Il comma 2 dell'art. 30 prevede poi l'abrogazione:
dell'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica n. 391 del 1980 (che reca la disciplina per l'identificazione del lotto di appartenenza dei preimballaggi, ora regolata per le derrate alimentari dall'art.
17 del presente schema di decreto);
del decreto legislativo n. 77 del 1993 (che reca l'attuazione della direttiva 90/496/UEE del Consiglio del 24 settembre 1990, relativa all'etichettatura nutrizionale dei prodotti alimentari).
Il comma 3 dell'art. 30, infine, prevede la soppressione di alcune parole relative alla durabilità del latte, contenute nella legge n. 169 del 1989, recante la disciplina del trattamento e della commercializzazione del latte alimentare vaccino.
In particolare, il predetto comma abroga della predetta legge le seguenti disposizioni:
l'articolo 5, comma 3, ultimo periodo (che prevede che il termine di consumazione del latte sottoposto a pastorizzazione non possa superare i quattro giorni successivi a quello di confezionamento);
l'articolo 6, comma 1, lettera a), limitatamente alle parole: ", con data di riferimento di 180 giorni dal confezionamento" (con riferimento all'indicazione sul contenitore del termine di conservazione per il latte
sterilizzato a lunga conservazione);
l'articolo 6, comma 1, lettera b), limitatamente alle parole ", con data di riferimento di 90 giorni dal confezionamento" (con riferimento all'indicazione sul contenitore del termine di conservazione per il latte
UHT a lunga conservazione).
L'articolo 31, infine, prevede che le disposizioni del presente schema di decreto legislativo entrino in vigore decorsi sessanta giorni dalla data di pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana.
Relazioni e pareri allegati
Il provvedimento è stato trasmesso corredato di:
relazione illustrativa;
relazione tecnico finanziaria;
analisi di impatto della regolamentazione (AIR);
analisi tecnico-normativa (ATN).
In allegato è possibile scaricare il testo del decreto.
Fonte: senato.it