La sentenza in esame è importante su due diversi piani.
In primo luogo la pronuncia afferma il condivisibile principio per cui anche delle indicazioni di tipo figurativo possono costituire evocazione di una denominazione di origine.
Un’immagine che raffigura un personaggio come Don Chisciotte, quindi, evoca una regione della Spagna ed è un chiaro segnale, per il consumatore, di una connessione fra il prodotto e la regione.
Se ingannevole, il segno figurativo va censurato. Tanto più se confligge con una denominazione di origine tutelata.
Di conseguenza potremmo affermare che un vino che presenta in bella mostra in etichetta i personaggi di Romeo e Giulietta sia evocativo dell’IGP Verona e che quindi inganni il consumatore circa la provenienza del prodotto dalla città scaligera.
Se il principio convince quando si parla dell’usurpazione, da parte di soggetti che non producono all’interno della zona di produzione evocata, il discorso si fa più sfumato quando l’utilizzo di simili riferimenti viene vietato a produttori che sono in effetti stabiliti nella zona cui fanno riferimento in etichetta, ma non si fregiano della corrispondente Denominazione di Origine.
L’origine vera del prodotto è indicata, ma l’inganno, nel caso, sta nel fatto che il consumatore potrebbe essere portato a credere (stante l’esistenza di una D.O. che qualifica il prodotto regionale) che il prodotto che presenta in etichetta un segno figurativo che richiama la D.O., si fregi in effetti di tale denominazione (che però non dice solamente che un prodotto proviene da un luogo, ma anche che determinati standard e processi produttivi, inseriti in un disciplinare approvato, sono rispettati).
É questo il secondo -e più controverso- tema affrontato dalla sentenza, che esclude la possibilità di indicare l’origine (vera) di un prodotto, se il luogo di origine evocato assona in qualche modo con una D.O.
Il produttore del formaggio che avrebbe “evocato” la D.O. della Mancia, ha infatti sede proprio nella regione della Mancia, e il formaggio di cui si contesta la commercializzazione è realmente originario della Mancia.
La sentenza, in buona sostanza, esclude, per evitare confusione, la possibilità che esistano due livelli produttivi in una medesima zona, uno protetto come D.O. ed uno invece non tutelato come indicazione geografica.
Il livello produttivo non “tutelato” dalla D.O. non può in alcun modo rimandare alla denominazione protetta se non è inserito nel suo sistema di controllo (nell’indicare l’indirizzo ad esempio deve, anzi, minimizzare i caratteri che fanno riferimento ad una D.O. o sostituire la parte confliggente con un codice numerico) e, inoltre, non può nemmeno inserire in etichetta segni figurativi riconducibili alla denominazione stessa.
La sentenza, nella sua estensione, pone interessanti problemi in tema di libertà di concorrenza, in quanto se è vero che il produttore che risiede all’interno della D.O. non può utilizzare, per prodotti dello stesso genere, il nome dell’indicazione protetta, impedirgli di utilizzare ogni segno o figura riferibile alla zona in cui effettivamente lo stesso produce sembra eccessivamente gravoso.
Ulteriore problematica consiste nella genericità del portato della sentenza. Il caso all’esame della Corte di Giustizia (Don Chisciotte) è un raro esempio di stretta connessione fra un personaggio e una regione, e anche la sua rappresentazione grafica è sufficientemente univoca, cosa succederebbe però in casi più sfumati?
La sentenza ci dice infatti che il giudizio sulla sussistenza o meno di un’evocazione spetta al giudice nazionale, ma fissa alcuni criteri (sufficientemente vaghi) per l’individuazione del criterio per cui sanzionare o meno il comportamento del produttore locale che non si fregia della D.O.:
“Sebbene spetti al giudice nazionale valutare se l’utilizzo, da parte di un produttore, di segni figurativi che evocano l’area geografica il cui nome fa parte di una denominazione d’origine, per prodotti identici o simili a quelli protetti da tale designazione, costituisca un’evocazione di una denominazione registrata ai sensi dell’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), di tale regolamento, la Corte, nel pronunciarsi su un rinvio pregiudiziale, può, ove necessario, fornire precisazioni dirette a guidare il giudice nazionale nella sua decisione (v., in tal senso, sentenza del 10 settembre 2009, Severi, C‑446/07, EU:C:2009:530, punto 60).
In tal modo, il giudice nazionale deve sostanzialmente fondarsi sulla presunta reazione del consumatore, essendo essenziale che il consumatore effettui un collegamento tra gli elementi controversi, nel caso di specie segni figurativi che evocano l’area geografica il cui nome fa parte di una denominazione d’origine, e la denominazione registrata (v., in tal senso, sentenza del 21 gennaio 2016, Viiniverla, C‑75/15, EU:C:2016:35, punto 22).
A tale riguardo, spetta a tale giudice valutare se il nesso tra tali elementi controversi e la denominazione registrata sia sufficientemente diretto e univoco, di modo che il consumatore, in loro presenza, è indotto ad avere in mente soprattutto tale denominazione (v., in tal senso, sentenza del 7 giugno 2018, Scotch Whisky Association, C‑44/17, EU:C:2018:415, punti 53 e 54).
Pertanto, spetterà al giudice del rinvio stabilire se esista una vicinanza concettuale, sufficientemente diretta e univoca, tra i segni figurativi di cui al procedimento principale e la DOP «queso manchego», che, conformemente all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), del regolamento n. 510/2006, rinvia all’area geografica alla quale essa è collegata, vale a dire la regione La Mancia.
Nel caso di specie, il giudice del rinvio dovrà assicurarsi che i segni figurativi di cui al procedimento principale, in particolare i disegni di un personaggio che assomiglia a Don Chisciotte della Mancia, di un cavallo magro e di paesaggi con mulini a vento e pecore, siano in grado di creare una vicinanza concettuale con la DOP «queso manchego», di modo che il consumatore avrà direttamente in mente, come immagine di riferimento, il prodotto che beneficia di tale DOP.”
Il giudice dovrà quindi valutare se sussiste una vicinanza concettuale, sufficientemente diretta e univoca tra il segno evocativo e la regione di riferimento della D.O., sanzionando il soggetto che sfrutti questa connessione pur non essendo inserito nel sistema di controlli della denominazione.
La Corte conclude con il seguente principio di diritto:
“Alla luce dei suesposti rilievi, l’articolo 13, paragrafo 1, lettera b), del regolamento n. 510/2006 deve essere interpretato nel senso che l’utilizzo di segni figurativi che evocano l’area geografica alla quale è collegata una denominazione d’origine, prevista all’articolo 2, paragrafo 1, lettera a), di tale regolamento, può costituire un’evocazione della medesima, anche nel caso in cui i suddetti segni figurativi siano utilizzati da un produttore stabilito in tale regione, ma i cui prodotti, simili o comparabili a quelli protetti da tale denominazione d’origine, non sono protetti da quest’ultima.”
Come anticipato, sarà interessante verificare come un simile principio verrà calato nei singoli casi che saranno portati all’attenzione della magistratura, specie in Italia, dove le D.O. si intrecciano e spesso i simboli, i personaggi e i segni sono contesi fra i produttori delle varie zone a D.O. coincidenti o limitrofe.
Avv. Riccardo Berti